Sono andato ad abitare nella stessa casa dove a pianterreno c’era lo Studio Area, che poi era il suo regno, giusto nel 2000 e ho fatto la conoscenza di Corrado credo nel 2005 o 2006. Certo, ci si vedeva e non poteva essere altrimenti perché eravamo (e siamo) proprio pochi in questa casa di impronta liberty che spicca giusto di fronte alla seconda facciata del municipio di Mantova, una facciata tutta di decadenza, tale e quale la città. Certo, dicevo, ci si vedeva ma non si era mai andati al di là degli scontati convenevoli del «Buongiorno» e del «Buonasera». Poi, non ricordo come e neppure quando, tantomeno ricordo chi abbia preso l’iniziativa, s’è accesa, proprio così, la confidenza, il che è strano perché il più delle volte sono una testuggine felice nel suo carapace. Il merito è di una mia idea, «Le Bancarelle della Nostalgia», una passerella delle edizioni popolari del Novecento, che avevo ideato e realizzato in quel di Castell’Arquato. Le «Bancarelle» erano state un successone tant’è vero che Repubblica aveva dedicato loro due pagine con tanto di corsivo di Umberto Eco. Poi le avevo trasferite a Salsomaggiore. Poi mi ero stancato e parlandone, non so perché, non so in quale occasione, con Corrado, diventarono quasi subito «Libri sotto i portici». Corrado era in cerca, così mi disse, di un qualcosa che sollevasse Castel Goffredo dal mortorio domenicale. Così dal comune amore per i libri è nata la nostra frequentazione. Così ho aiutato a far nascere «Libri sotto i portici». La frequentazione è stata assidua per almeno due anni, spesso, nel pomeriggio scendevo dal mio eremo ed entravo nel regno di Corrado. Il più delle volte si dialogava pochissimo non per mancanza di argomenti ma per via della raffica di telefonate che lui riceveva. Poche di lavoro, per essere chiari, quasi tutte legate al gruppo San Luca e alla sua Castel Goffredo. Scrivo per campare da poco meno di sessant’anni, ho conosciuto e spesso intervistato, su e giù per l’Italia, migliaia di persone, gente illustre e illustri ignoti, ebbene posso dire di non aver mai conosciuto alcuno innamorato della propria patria come Corrado. Ho detto patria non a caso: non me la sento, nel suo caso, di ridurre Castel Goffredo a paese natio, era di più molto di più, era il suo mondo, era il suo habitat, era, per dirla con un’intraducibile parola tedesca, la sua Heimat. Corrado amava Castel Goffredo come si può amare una donna; era, la sua, una passione. E non la ho mai sentita scemarsi. E questa passione lo ha consumato sino a morirne. Non so niente di niente di medicina però credo di sapere che a uccidere Corrado, a ucciderlo improvvisamente e in apparente piena salute, sia stata la sua straordinaria generosità per la sua Castel Goffredo. Si può morire di nostalgia e si può morire anche per troppa generosità, per un darsi totale, per fare fare fare. Fare questo e quest’altro, fare e inventare, fare il gruppo San Luca, fare il Museo che, se ci pensate, ha un che di immenso: s’è mai visto un gruppo minimo di volontari che fa il miracolo di aprire un museo mirabolante nella sua perfezione e di classe, com’è stata di classe qualunque iniziativa con l’impronta bocchiana? Il Museo è nato, che io sappia, soprattutto per il fare fare fare di Corrado. E fra poco sarebbe stato il turno della torre dove il fare ha significato salire e scendere salire e scendere dieci venti volte al giorno. Forse il cuore di Corrado, il cuore sa essere infido e brutale, non ha retto al suo volersi dare, al suo consumarsi e lo ha tradito. Io credo, anzi sono convinto, che pure se avesse avuto qualche sentore, Corrado non si sarebbe fermato. Non poteva fermarsi: non era mai abbastanza ciò che riusciva a dare alla sua Castel Goffredo (mi sono chiesto tante volte dopo averlo conosciuto se questa ex capitale, come ci teneva Corrado a ricordare, abbia mai avuto un sindaco con la sua stessa passione; mi sono chiesto altrettante volte perché non l’abbiano fatto sindaco per acclamazione).
Guido Vigna